#IntervistaCaffè con Barbara Galli, Founder di Talent Up
Bentrovati nella rubrica Intervista Caffè, questa settimana dedicata ad una professionista poliedrica – Barbara Galli – che dopo molti anni come ricercatrice, dirigente in aziende multinazionali, consulente di marketing e dopo due Master, una certificazione internazionale ICF e moltissime ore di coaching, ha deciso di fondare Talent Up.
Buongiorno Barbara, e grazie per la disponibilità a raccontarci di te e di Talent Up. Ci racconti il tuo percorso professionale, dall’università al lancio di Talent Up?
E’ un percorso lungo e articolato, di ruoli ricoperti in azienda, in istituti di ricerca, digital agencies, business school e di coaching, la cui prima tappa fu il marketing in BMW Italia.
Ero una neolaureata in Economia, nata e cresciuta in provincia, da una famiglia che aveva poche risorse che, con generosità, investiva su di me: perché potessi avere un futuro più luminoso del loro. Un dono immenso e uno zaino piuttosto pesante al tempo stesso!
Il marketing mi affascinava, il mondo patinato di un brand di prestigio altrettanto, ma soprattutto mi trascinava il desiderio di costruirmi la mia strada. E per farlo avevo bisogno di recidere il “cordone ombelicale”, mettendo distanza tra me e la mia famiglia – a cui sarò sempre infinitamente grata.
Così decisi di candidarmi per uno stage in BMW Italia, che, nel 1997, si trovava a Palazzolo di Sona. Mi trasferii a Peschiera del Garda e iniziai a vivere sulla mia pelle cosa significasse decidere, scegliere da sola. Essere responsabile, capace di agire.
Fu un periodo molto divertente e di grandi apprendimenti: l’organizzazione era completamente orizzontale e io, a soli 24 anni, avevo il privilegio di partecipare ai meeting dei comitato esecutivo e di confrontarmi con il Presidente: paura e orgoglio!
In BMW incontrai Martino Boffa, che allora dirigeva il settore automotive in GPF&Associati, prestigioso istituto di ricerca fondato da Gianpaolo Fabris. Ci conoscemmo e mi chiese di andare a lavorare con lui.
La mia curiosità è davvero grande e desideravo intensamente vedere cosa ci fosse dall’altra parte della barricata: in azienda mi occupavo anche di ricerche di mercato ma vedevo il dato finale, non come aveva origine.
Così accettai l’offerta. Mi resi conto solo una volta entrata in istituto di ricerca quanta tecnica e quanta abilità professionale fossero necessarie per svolgere bene quel lavoro e di quanto fosse differente da ciò che avevo fatto sino ad allora.
Decisi di imparare a farlo bene. Lavoravo giorno e notte.
Chiedevo ai miei superiori gerarchici e ai loro colleghi di dedicarmi tempo, di spiegarmi, di confrontarsi con me, di farmi andare con loro agli incontri di business. Vuoi per generosità loro, vuoi per tenacia mia, mi portai a casa il risultato!
Sviluppai una solida expertise nelle ricerche di mercato e nella consulenza e poi tornai in azienda, in Maserati.
Mi cercò il direttore del personale che avevo conosciuto in BMW, nei miei primi anni di carriera. Era una grande occasione: certo, avrei dovuto allontanarmi di nuovo da casa (dove ormai stavo bene, grazie alla mia maggiore indipendenza, emotiva ed economica) ma non volevo resistere all’opportunità di entrare come manager nel dipartimento di ricerche di Mercato per progettare il lancio di due nuovi modelli.
Da Maserati passai poi in Ferrari, nella direzione Strategia prodotto, finché mi chiamò The Nielsen Company, per il lancio della nuova Business Unit di ricerche di mercato. Divenni leader delle indagini sugli shopper per il sud Europa.
Poi arrivò forte l’onda del digitale, incontrai il CEO di Duepuntozero Research e mi tuffai per l’ennesima volta in un mondo nuovo: con tanta voglia di imparare per portare un contributo che fosse unico, per la rotondità dell’esperienza che avevo maturato sino a quel momento. Per i molti linguaggi che avevo appreso.
Dopo qualche anno mi ritrovai alla guida dell’agenzia: fu una esperienza ricca, potente e un grande successo.
Infine ci fu l’approdo in Doxa, dove è arrivarono la dirigenza e una nuova start up da lanciare: la divisione Telco&Mobility: un’altra occasione di fatica e gioia; apprendimento e contributo.
In tutto questo, circa 15 anni fa, iniziai un percorso personale che mi avvicinò al coaching.
Dopo 23 anni di esperienza come ricercatore, startupper, blogger, dirigente di Business, consulente di marketing; dopo due Master, vari corsi di specializzazione, una certificazione internazionale ICF e moltissime ore di coaching, decisi di fondare Talent Up.
Credo semplicemente che fosse il momento giusto: le cose accadono quando devono accadere e noi contribuiamo, più o meno consapevolmente, a fare in modo che avvengano, quando sentiamo una spinta intensa, da dentrom che si alimenta di ascolto – di noi stessi, del contesto e del nostro “noble goal”.
Ho ricevuto molto nella mia vita. Ho imparato ad apprezzare il valore delle relazioni, di ciò che ogni persona porta con sé e, magari all’improvviso, decide di donare. Ho sperimentato, vivendola addosso, l’immensa potenza che la voce dell’invisibile che sta dentro ciascuno di noi può avere. Ho visto e incontrato moltissimi talenti, alcuni con le mani alzati e la voce che risuonava forte, altri rinchiusi, altri sopiti. Esperienza dopo esperienza si è chiarita nella mia mente, sino a diventare completamente limpida, la missione che avrei dato a Talent Up: “fare brillare i talenti”. Ecco, questo è il mio percorso. In cui si integrano anche le mie attività di insegnamento alla European School of Economics e di Vicepresidente dell’associazione culturale no profit The Bright Side: entrambe estremamente arricchenti a livello umano.
Perché hai deciso di lanciare la tua attività di management consulting e a chi è rivolta?
Attraverso Talent Up voglio portare alle aziende e alle persone l’unicità di visione, approccio, tecniche che ho avuto il privilegio di sviluppare e allenare nel mio percorso personale e professionale.
Ho sperimentato cosa significa fondare e far crescere un business. Senza risultati non si va da nessuna parte: vengono a mancare le risorse per investire in innovazione e per far crescere le persone. Per questo il mio lavoro è finalizzato a identificare, insieme ai miei clienti, piani di azione, non solo risposta di business. E a portare avanti le azioni, insieme agli individui che sono gli organi vitali delle organizzazioni.
Ho vissuto la potenza del coaching nel far accadere le cose e ho deciso di integrare questa mia competenza (come Professional Certified Coach ICF aderisco a un codice etico e promuovo l’utilizzo delle competenze core del coaching) nel modello di business che propongo, attivandola sinergicamente alla consulenza manageriale e alle ricerche di mercato – di cui sono cintura nera 😊.
Ho sperimentato la potenza facilitatrice della tecnologia e ho deciso di metterla a servizio in Talent Up.
Nella mia attività di management consulting rientra tutto questo. Colloco ogni tassello dove è necessario e solo quando è necessario. Sono una idealista pragmatica!
Con la mia consulenza voglio parlare alle persone, siano esse CEO, HR Director, HR manager, titolari d’azienda, middle manager o altro. In imprese nazionali, multinazionali. Piccole o grandi.
Il mio modello strategico vede il talento e la sua possibilità di piena espressione ed empowerment al centro. Da lì nasce e si rafforza tutto il resto. Si rafforza, risplende e si propaga.
Voglio parlar a persone che gestiscono persone; a persone che vogliono gestire al meglio il loro percorso di crescita, di vit personale e professionale.
Chi è e cosa fa una coach come te? Ci racconti un’esperienza di coaching?
Difficile raccontare del coaching senza poter far vivere una esperienza! Ne ho scritto in un post pubblicato sul blog di #BGTalentUp. Ho capito veramente cosa fosse il coaching quando ho accompagnato una persona bendata per le strade trafficate del centro di Milano. Lei era bendata ma decideva dove andare, il passo da tenere. Io non potevo parlarle, non potevo darle indicazioni, consigli. Potevo solo darle una leggera stretta al braccio su cui appoggiavo la mia mano per segnalarle un ostacolo o la presenza di una svolta o di un gradino. Un segnale gentile. Ma privo di condizionamento. Ecco, in quel momento io ero il coach.
Prendo in prestito quanto pubblicato da ICF Italia:
“ICF definisce il coaching come una partnership con i clienti che, attraverso un processo creativo, stimola la riflessione, ispirandoli a massimizzare il proprio potenziale personale e professionale. La metodologia di coaching adottata da ICF prevede che il cliente sia prima di tutto rispettato, sia dal punto di vista personale che professionale, e venga considerato in grado di gestire efficacemente la propria vita ed il proprio ambito lavorativo. Ogni cliente viene visto come una persona creativa e piena di risorse. Il coaching facilita la sperimentazione di nuove prospettive e opportunità personali, l’accrescimento nelle capacità di pensiero e nella presa di decisioni. Inoltre è volto al miglioramento nell’efficienza interpersonale ed a una maggiore fiducia nell’esprimere i ruoli scelti nella vita e al lavoro. Generalmente un percorso di coaching si avvia con un colloquio personale (fatto di persona oppure telefonicamente) per valutare le attuali opportunità e sfide del cliente, per definire le finalità della relazione, per identificare le priorità di azione e per stabilire quali sono i risultati specifici che si vogliono raggiungere. Tra le sessioni di coaching programmate si può richiedere al cliente di compiere determinate azioni che lo aiutino al raggiungimento dei propri obiettivi prioritari. ”
Tra le varie discipline a volte confuse con il coaching, ho scelto il coaching perché non esplora il passato, ma supporta le persone a riconoscere i propri modelli di pensiero e ad attivare tutte le risorse interne per raggiungere l’obiettivo definito. Lavora nel qui e ora, con un faro che illumina il percorso, la direzione.
Tra gli strumenti di Talent Up c’è il tool di intelligenza emotiva e relazionale. Quanto è importante sviluppare la nostra intelligenza emotiva e come possiamo farlo?
I tool che utilizzo si basano sul modello di Six Seconds, la più grande community mondiale di esperti di intelligenza emotiva. Il modello, EQ in Action mette il focus su 3 fasi interrelate di un processo orientato a massimizzare la performance nella propria vita – attraverso lo sviluppo dell’efficacia personale e relazionale; del proprio benessere e della qualità si vita. Perché l’intelligenza emotiva e le performance sono correlate!
Le tre fasi del processo sono:
- la self awareness: il cosa, la consapevolezza;
- il self management: il come, l’intenzione;
- la self direction: il perché, il noble goal.
In ciascuna abitano specifici muscoli emozionali che possono essere allenati! E con l’allenamento si arriva al risultato.
Ciò che apprezzo del modello, oltre alla sua solidità, è la filosofia, che incontra appieno il mio pensiero: il training si inizia facendo riscaldare i muscoli più forti.
Il percorso di sviluppo personale/professionale di ciascun individuo deve prendere le mosse da ciò con cui se sente più a suo agio. Deve consentirgli di poggiare su ciò di cui si sente più fiducioso, i suoi punti di forza, per consentirgli uno slancio maggiore, una progressione rapida, alimentate dalla gratificazione del successo!
Da coach lo trovo uno strumento molto potente già dall’inizio del percorso: aiuta il partner di coaching a vedere, a mettere a fuoco l’oggi e la direzione. Per poter poi sviluppare il cammino, a piccoli passi.
Il modello Talent Up si muove su tre direttrici: il brand, l’advocacy e la performance. Ce lo spieghi meglio?
Al centro del modello Talent Up c’è il talento: il suo riconoscimento, la sua libera espressione, la sua potenza in azione e in continuo sviluppo.
Investire nei talenti delle persone significa potenziare i muscoli dell’azienda, i suoi sensi, le sue capacità di azione e reazione.
Gli individui sono l’azienda che vive. Sono l’immagine del brand che cammina per le strade, che entra nei locali. Sono la sua espressione, i suoi valori che si manifestano attraverso comportamenti ed esperienze.
Un posizionamento di brand, per essere vivo e sapersi evolvere con il contesto non può solo essere frutto di un lavoro di codifica a tavolino!
Un brand che vive in modo sintonico, e attraverso le persone che lo rappresentano, è forte per definizione: è compatto, coeso. Se c’è identità valoriale e di intenti, comunicazione e scambio continuo tra azienda ed employee, le performance saranno elevate. Saranno il più elevate possibile, dato il contesto, perché ciascuna persona esprimerà il proprio potenziale al massimo nell’organizzazione. E lo farà in modo fluido, attraverso le regole di processo che risponderanno all’ottica della valorizzazione di tutti e del tutto.
Se credi in un brand, che ti permette di esprimerti liberamente e di portare il tuo contributo alla costruzione e all’evoluzione della sua essenza, ne parli. Ne parli bene, convinto, con forza. Ti esponi. Coinvolgi i tuoi amici, parenti. I tuoi contatti sui social e racconti loro perché quell’azienda, quel brand sono per te il luogo ideale in cui ciascuno dovrebbe desiderare di essere. Insomma, diventi un acceleratore di crescita attraverso la tua advocacy.
Sei autrice del libro “Web listening, conoscere per agire” edito da Franco Angeli. Ci spieghi brevemente cos’è il “web listening” e quali sono le potenzialità per professionisti e startup?
Il web listening è la raccolta del conversato presente in rete per generare insight azionabili, fondati su analisi quantitative e qualitative dei contenuti, e/o la restituzione in tempo reale dei dati presenti nei luoghi online di discussione, al fine di permettere interventi correttivi o di amplificazione.
A partire da un obiettivo!
Il web listening è un processo, che origina da un obiettivo di business, che si traduce nell’esplorazione di tematica, e si conclude nella generazione di insight su cui pianificare azioni utili per l’azienda.
Ascoltare ciò che si dice nel web è utile a tutti: dalle grandi alle piccole imprese.
- Può permettere di misurare l’efficacia di una campagna online per volumi di conversato generato sui canali in target;
- di identificare aspetti da migliorare dei propri prodotti o servizi (analizzando le aree coinvolte dal conversato critico);
- di utilizzare i termini più utili nel proprio blog per parlare in modo efficace al target di interesse (rilevando le parole utilizzate dallo stesso nelle proprie conversazioni) e molto altro.
Osservare come si parla nel web è altrettanto utile. Pensate di volervi posizionare online. Anche solo una analisi “artigianale” dei contenuti dei piani editoriali delle aziende potenziali competitor, della struttura delle loro properties digitali, dei loro post più efficaci, può fornirvi conoscenze utili a identificare le aree semantiche coperte e quelle scoperte, e declinare la vostra proposizione in modo efficace, distintivo e unico.
Altro che ci vuoi raccontare, Barbara?
La risposta vera sarebbe “si!”. Ma terrò gli altri argomenti per “nuove puntate”!
Un grande grazie per avermi ospitata in questa intervista caffè e avermi accompagnata con Zheroo a far nascere Talent Up.
Grazie anche a tutti i lettori: il tempo è un bene prezioso e una risorsa scarsa e chi è arrivato fino a questa riga mi ha fatto un meraviglioso dono.
Ringrazio di cuore Barbara Galli per questa intervista, per aver condiviso con noi il suo percorso e tanti interessanti spunti per migliorare noi stessi e i noi nostri business.
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Info sull'autore
Mi occupo di strategie per l’innovazione, di business model design, di valutazione degli impatti della discontinuità aziendale e di progettazione di nuove soluzioni innovative. La mia passione è connettere persone, talenti e skills con lo scopo di stimolare l’innovazione e creare un ecosistema sano e innovativo.