In tutta Europa, da qualche anno, si respira un fermento imprenditoriale nuovo e inedito. Le startup sembrano essere diventate il leitmotiv nello scenario economico, insieme, peraltro, a notizie meno liete quali il debito pubblico, il PIL che non si discosta dallo zero virgola, la crisi che colpisce sempre di più aziende di ogni dimensione, l’Italia che da grande player internazionale nella manifattura perde posizioni nelle classifiche di questo o quell’ istituto economico di primo piano.

Certamente in una fase economica generale di grande depressione e stagnazione, questo entusiasmo può essere visto come l’altra faccia della crisi; rappresenta la voglia di molti giovani e meno giovani di cimentarsi e di innovare, di fare cose nuove e diverse, di mettere in gioco tutto quello che si ha, superando quelle barriere che hanno portato il vecchio continente alla fase storica che stiamo vivendo.

Purtoppo però, o per fortuna, tutto questo non è sufficiente. Non bastano le buone intenzioni, non basta l’entusiasmo e la voglia di fare. Serve un “ecosistema” che funzioni, che funga da terreno fertile per far crescere le nuove imprese, farle diventare generatrici di profitti e appetibili per le aziende grandi e strutturate. Solo questo sviluppo può far sì che gli investimenti di coloro che ci hanno creduto, dei business angels, degli incubatori, dei VCs, si trasformino in “exit” di successo, attraverso l’acquisizione di un’azienda più grande o attraverso la quotazione in borsa. E’ questa la fase che viene denominata di “scaleup”: è la fase post exit, dal punto di vista dell’investitore, la fase del salto dimensionale, fondamentale per il successo di un’idea imprenditoriale. Senza questa fase la startup è destinata ad implodere.

Perché le exit e le scaleup sono essenziali alla startup e all’ecosistema?

  • L’innovazione generata nella startup se integrata in un’azienda più grande e strutturata si può diffondere molto più rapidamente. Il fattore tempo è fondamentale.
  • La exit restituisce le risorse agli investitori, che possono reinvestirle in altre startup, in altri progetti, creando quindi un circolo virtuoso, in continua evoluzione.
  • Da queste uscite vincenti, gli imprenditori possono cimentarsi in nuove imprese, in nuova innovazione o diventare investitori a loro volta, rendendo fertile l’ecosistema imprenditoriale.

TImmaginera gli esempi virtuosi europei, troviamo una startup ormai realmente globale, come la Delivery Hero, portale attivo nel settore food, fondata nel 2010, che ha raccolto oltre 300 milioni di dollari. O la svedese iZettle che ha raccolto oltre 100 milioni di dollari.

Guardando il Sep Report, che mappa la “scaleup” europee, emerge che il paese più prolifico e virtuoso è il Regno Unito, con il 26% di startup che hanno ottenuto oltre un milione di funding tra il 2011 e il 2014. Segue la Germania, con il 16%, la Francia con l’11% e la Finlandia e la Spagna con il 7%. L’Italia si ferma invece al 5% del totale. Un dato non trascurabile consiste nella relativa tenera età delle startup di successo: il 57% sono state fondate dopo il 2010.

Questo progetto denominato “Startup Europe Partnership” (SEP) è stato lanciato in occasione dell’Europe 2020 Summit lo scorso maggio. E’ coordinato dall’italo americana Mind the Bridge e dalla fondazione per l’innovazione inglese Nesta, e fra i suoi sostenitori istituzionali ci sono tra gli altri l’European Investment Bank Group, la Cambridge University, la IE Business School e l’università tedesca HIIG Berlin.

La missione di SEP è quella di costruire “ponti” tra le startup europee, le grandi aziende, le università e la comunità di investitori al fine di favorire gli investimenti in startup e farle diventare dei player internazionali.

Una piattaforma che aiuti le startup a fare rete con le aziende più mature e strutturate, con gli investitori e i centri di ricerca è un passo fondamentale per la crescita e lo sviluppo. In un mercato sempre più globale e complesso come quello attuale, l’azione isolata del singolo non può portare molto lontano. Questo a ben guardare vale per le startup come per le PMI, dove formazione, talenti, capitali e leadership sono aree di intervento sempre più urgenti e non più procrastinabili.

Il piano di SEP consiste in 5 macro obiettivi, che coprono altrettante aree di interesse da sviluppare e che rappresentano le tessere del più grande puzzle che è l’ecosistema imprenditoriale (http://startupmanifesto.eu) :

  • Education and skills (attraverso la digitalizzazione della scuola e alla formazione ICT)
  • Access to talent (il 26% degli imprenditori afferma di trovare difficoltà nel reperimento di risorse. Erasmus for young entrepreneurs, Women in ICT programme, Success stories sono alcuni programmi che rientrano in quest’area di sviluppo)
  • Access to capital (favorendo il mercato degli investimenti)
  • Data policy, protection and privacy (attraverso l’aggiornamento della normativa in materia di privacy e sicurezza delle informazioni)
  • Thought leadership (attraverso il rinnovamento culturale in ambito digitale, dell’innovazione e dell’imprenditorialità)

Queste aree di interesse devono rappresentare il focus su cui concentrare l’azione politica dei paesi europei. In Italia questo bisogno è ancora maggiore se vogliamo recuperare posizioni nel panorama dei paesi leader a livello globale. Questa non è un’opzione, un nice-to-have, ma una condizione per non inclinare ancora di più di quanto già non lo sia, quel piano sui cui l’Italia versa da diversi anni.