Da poco tempo in Italia si è cominciato a parlare di “Business Angels“, i sostenitori degli startuppers, gli investitori informali che puntano su nuove imprese.
È un’arte fare i business angels: si sta al fianco di chi ha un’idea e la vuole implementare, portare sul mercato. Sono investitori che credono nella capacità di riuscita di un’idea, di un servizio o prodotto, ma soprattutto credono nelle persone che l’hanno partorita. È una partita che si gioca sulla fiducia reciproca.
I business angels spesso sono stati a loro volta imprenditori oppure sono ex manager, persone con una lunga esperienza aziendale, pronti a supportare neo imprenditori a definire l’idea dentro un modello di business, organizzativo e finanziario.
Gli angels italiani in genere collocano tra i 30 e i 50 mila euro: siamo di fronte quindi ad investimenti relativamente piccoli. Il capitale che molti startupper cercano pero’ e’ manageriale e di contatti.
Ai neo imprenditori spesso manca quella cultura organizzativa e gestionale che può mettere in moto il circolo virtuoso imprenditoriale.
“Ci vogliono persone preparate, capaci di coinvolgere altre competenze», dice Tomaso Marzotto Caotorta, dirigente d’azienda di lungo corso e vicepresidente dell’Iban (Italian business angels network). Fondata nel 1999, è l’organizzazione di categoria, federata con i Business Angels Europe. Marzotto Caotorta definisce i suoi associati «l’anello mancante nella filiera del capitale di rischio»: scommettono in prima persona sulla crescita delle startup per renderle appetibili nei round di finanziamenti che verranno.
A volte incontrare l’angel investor giusto può essere la salvezza di una startup. Il processo di avvio di un’idea di business e’ molto spesso lungo e tortuoso, può richiedere qualche anno. Non e’ infrequente trovare promettenti startupper mollare tutto e rinunciare. In questi casi il ruolo di business angel diventa anche quello di mentor. Usando una metafora, il mentor aiuta l’impresa nei suoi primi passi, l’aiuta a rialzarsi quando inciampa e a trovare l’equilibrio per compiere il passo successivo. Per questo motivo la presenza di un mentor/ business angel non può durare a tempo indefinito.
L’investimento degli angels e’ sempre un investimento a termine. L’uscita dal capitale di rischio avviene mediamente dopo 4-6 anni. Per questo motivo la qualità della start up e’ importantissima.
Secondo un’indagine dell’Iban, sui quasi 2mila progetti vagliati l’anno scorso in Italia si è investito soltanto su 94 per oltre 33 milioni di euro. «Il 20-30 per cento produce un ritorno minimo o comunque molto limitato e solo il 10-20 per cento delle startup produce ritorni almeno dieci volte il capitale investito», spiega Marco Villa, vicepresidente di Italian Angel for Growth (Iag è un network privato, non associazione di categoria, come invece è l’Iban), nella sua rubrica sul CorriereInnovazione.
Forse sorprendera’ sapere che da un’indagine di Mind the Bridge emerge che non solo i business angels abbiano un obiettivo a termine: il 57% delle startup punta ad una exit da realizzare attraverso la cessione di impresa (M&A) mentre il 32% non ha obiettivi di uscita. Un 10% pensa ad una IPO, obiettivo quasi proibitivo in questi tempi, ma perché porre limiti ai progetti ambiziosi? Chi non coltiva grandi progetti difficilmente può realizzarli.